Spagna è luce. Questa volta, però, non saranno raccontati paesaggi e città ma la luce che si crea “dentro” le architetture storiche e artistiche iberiche.
Il parallelismo risulterà forse azzardato. Ma mai come in terra spagnola si può notare una sorta di “continuità storica” nell’utilizzo della luce come elemento architettonico. Il parallelismo riguarda due periodi molto distanti tra loro – sia temporalmente che geograficamente – della penisola iberica: quello della dominazione araba nel Sud della Spagna e il modernismo catalano di fine ‘800.
La dominazione araba in Spagna si protrasse dal 711 al 1492, ma il Califfato Indipendente venne fondato a Cordoba nel 929 da Abd al-Rahman III, aprendo così l’epoca di maggior splendore dell’Islam andalusì, che si rispecchia dapprima nell’imponente moschea di Cordoba e successivamente nell’Alcazar di Siviglia e nell’Alhambra di Granada.
Finestre come reminiscenza dell’architettura del deserto, utilizzo di specchi d’acqua nelle fontane e nelle piscine dei giardini interni che riflettono luce e immagini, vetrate che creano caleidoscopici giochi di colore… Negli edifici reali, gli spazi sono aperti, come nel deserto, dove persino l’intimità viene a trovarsi sotto le stelle: non si tratta di abitazioni con giardino, ma al contrario, di giardini con case.
L’orientamento dei Palazzi trasforma inoltre ciascun angolo o colonna nell’asta di un orologio solare a mo’ di meridiana: è la conseguenza di un accurato allineamento nord-sud di tutte le dipendenze, arrivando se necessario a riempire avvallamenti o dislivelli allo scopo di mantenere tale orientamento fino ai decimi di grado. E non è nemmeno casuale il fatto che tutte le stanze ricevano più sole in inverno che in estate, grazie all’utilizzo di cornicioni e grondaie: le “alcove ad angolo” dei patios vengono così riscaldate dai raggi del sole invernale, ma protette dal vento; nei mesi caldi, il processo si inverte…
Non è un caso che Le Corbusier avesse riscontrato nell’Alhambra la sua definizione di architettura moderna come “il gioco intelligente , corretto e magnifico dei volumi uniti nella luce”.
“Occorre combinare gli elementi sporgenti con quelli rientranti, in modo che a ciascun elemento convesso, cioè situato in luce piena, ne venga opposto uno concavo, ossia un’ombra”. E’ lo stesso Antoni Gaudì a descrivere, in questa mirabile affermazione, tutta la sua “filosofia” che lo ha consacrato come il massimo esponente del modernismo catalano e definito (è ancora Le Corbusier a soccorrerci) come il “plasmatore della pietra, del laterizio e del ferro”.
La Casa Milà, nota anche come “La Pedrera” (cioè “cava di pietra”), è considerata il manifesto dell’arte di Gaudì (non fosse altro perchè l’edificio riassume tutta la “summa” del pensiero dell’architetto). Costruita tra il 1905 e il 1907, è costituita da sei piani, otto appartamenti e due cortili interni.
In questo edificio – la cui facciata è rivestita di pietra grezza – Gaudì apportò numerose tecniche assolutamente innovative per l’epoca: l’utilizzo del cemento armato come elemento base, il ferro battuto per porte, balconi e cancello d’ingresso, il vetro armato per le pavimentazioni dei balconi, la “valorizzazione” del bagno, la creazione di un parcheggio sotterraneo, l’introduzione dell’ascensore…
Uno degli elementi più originali, inoltre, è il “doppio tetto”, che culmina con una grande terrazza attraversata da scalette e gradini e “popolata” da comignoli dalle forme che richiamano le teste di guerrieri. L’intera composizione delle superfici, inoltre, esclude quasi del tutto l’angolo retto, sia per gli spazi interni che per quelli esterni. Perché – come diceva lo stesso Gaudì – “la linea retta è la linea degli uomini, quella curva la linea di Dio.”
Ma uno degli “elementi di architettura” su cui l’architetto spagnolo basò la sua opera fu la luce: tutti gli spazi della “Pedrera”, infatti, vengono inondati dai raggi che provengono sia dalla parte esterna dell’edificio che dalle due grandi “colonne vuote interne”. In questo modo, tutti gli spazi abitativi riescono a godere di una luminosità straordinaria.
Una concezione che viene ripresa e portata al massimo splendore nel grande “bosco” della Basilica della Sagrada Familia, il capolavoro di Gaudì. Il “bosco” si innalza attraverso colonne arborescenti a doppio giro, di 15 metri nelle cantorie per arrivare a 75 metri nell’abside. Una soluzione strutturale, questa, che permette l’entrata della luce naturale attraverso finestroni e vetrate ideati dallo stesso Gaudì che – grazie agli innesti policromatici – creano effetti di luci e colori davvero spettacolari, cosicchè la luce si trasforma in un vero e proprio “elemento architettonico”.
La luce, insomma, è elemento essenziale nelle opere di Gaudì: veniva utilizzata come materia di costruzione e considerata “un riflesso divino che rivela la bellezza del mondo, attraverso la decomposizione del fascio di luce in colori”.
La Sagrada Familia fu iniziata nel 1882. Dall’anno successivo Gaudì assunse la responsabilità dei lavori, ma fu a partire dal 1914 che l’architetto se ne occupò interamente. Purtroppo non poté portare a termine la sua opera poiché nel 1926 perse la vita in un incidente. I lavori ripresero nel 1979 seguendo il progetto originale. Lavori che dovrebbero essere ultimati nel 2026, anno del centenario della morte dell’architetto catalano.
Per informazioni: Ente del Turismo Spagnolo –Via Broletto, 30 – 20121 Milano – Telefono: 02 7200 4625
Testo di Luca Begnoni