Il ghiaccio che si crepa e cade in acqua. E’ il fragore del tuono, minaccioso e improvviso. Nasce nel nulla e scompare nel nulla. E poi il silenzio assoluto, trafitto da un vento freddo e pungente.
Con lo sguardo si cerca il limite, e l’oltre. A piedi, salendo dalla costa, con racchette da neve se necessario, si raggiunge il deserto di ghiaccio a 1.000 m di altitudine, attraversando a passo lento, sulle rotte dei grandi esploratori, burroni, crepacci, ghiacciai, laghi glaciali e fiumi avvolti da una natura tanto suggestiva quanto minacciosa, imprevedibile, ostile.
Qui tutto è essenziale, senza spazio per il superfluo. Un paesaggio quasi lunare intervallato da lingue glaciali e dai “nunataks”, le spettacolari formazioni di roccia che si ergono all’interno delle calotte polari. Sulle mappe l’Inlandis è il “Territorio Inesplorato”, uno dei luoghi più misteriosi e meno visitati del pianeta, uno sconfinato ghiacciaio che si estende per 2650 km da nord a sud e per 1000 km da est a ovest, che in certi punti raggiunge uno spessore di circa 3 km, artefice di uno schiacciamento al centro che scende a –360 m sotto il livello del mare e un innalzamento nel settore orientale fino a 3.700 m di altezza. Suggestivi canaloni e profondi fiordi portano al mare lingue di ghiaccio, trasformate in enormi iceberg azzurro turchese galleggianti su uno dei mari più pescosi del mondo. Ma per una manciata di settimane l’anno, da fine giugno a inizio settembre, aspettando il sole di mezzanotte nella breve estate artica, la terra più a nord del pianeta si ricopre di fiori e bacche, regalando colori inaspettati.
L’isola più estesa del mondo, ricoperta per l’85 % del territorio – quasi tutto compreso oltre il Circolo Polare Artico – da una coltre perenne di ghiaccio spessa anche alcuni chilometri, iniziata a formarsi 3 milioni di anni fa, fu il rifugio inospitale di Erik il Rosso, condottiero e navigatore normanno, latitante per omicidio, che nel 982 approdò lungo un fiordo vicino a Qaqortoq, percorrendo 300 km dall’Islanda con un gruppo di scandinavi, i Vichinghi, che la trovarono apparentemente disabitata.
La chiamò Grænland, terra verde, perché, diceva, “se questo luogo avesse avuto un nome positivo la gente ne sarebbe stata attratta”. Oltre 4.000 scandinavi si stabilirono in Groenlandia senza mai adattarsi alla vita nelle sue condizioni più estreme. Nei fiordi costieri riparati i Vichinghi allevarono pecore e bovini, edificarono chiese e fattorie, barattando pelli di foca e avorio di tricheco con legname e ferro provenienti dall’Europa, resistendo per oltre quattro secoli. Poi, com’erano arrivati, altrettanto improvvisamente, svanirono.
I due figli di Erik il Rosso all’inizio del 1000 si spinsero ancora più ad ovest, arrivando a scoprire Terranova e la baia del fiume San Lorenzo in Canada, cioè a scoprire l’America cinque secoli prima di Colombo.
Nel 1200 sbarcarono dal Canada settentrionale gli Inuit, discendenti diretti dei groenlandesi, portando con sé le slitte trainate da cani, i kayak e altri strumenti essenziali per cacciare e pescare nell’Artico, sfruttando le risorse locali. Il Sud della Groenlandia si sta riscaldando al doppio della velocità rispetto a gran parte del resto del mondo e la coltre di ghiaccio, che contiene circa il sette per cento dell’acqua dolce del pianeta, si sta riducendo di circa 200 chilometri cubi l’anno.
Ma lo scioglimento dei ghiacci artici ha già cominciato a facilitare l’accesso al petrolio, al gas e alle risorse minerarie che potrebbero offrire alla Groenlandia l’indipendenza finanziaria e politica a cui aspira la sua popolazione, appartenente al Regno di Danimarca, che ne controlla finanze, politica estera e difesa.
In aereo da Reykjavik si atterra a Narsarsuaq (“La grande piana”) in fondo ad un fiordo che sbocca nel Mare del Labrador, il più importante centro dell’isola ai tempi dei Vichinghi, e da qui si prosegue navigando su grossi gommoni con motore fuoribordo e chiglia rigida adatti ad un massimo di 14 persone, lungo il fiordo Tunulliarfik, adornato da iceberg frammenti della calotta polare, veri monumenti di ghiaccio che galleggiano nel mare calmo, alla deriva, levigati dalle onde e dal vento. Ogni iceberg è in sé un’opera unica per le forme stravaganti e sempre diverse e per le numerose tonalità di colore del ghiaccio.
Da Narsaq, la terza città più estesa del sud con i suoi 1700 abitanti sulle rive del fiordo di Narsaq Sund, si naviga attraverso uno spettacolare fiordo circondati da iceberg fino al campo fisso di Qaleraliq, in una spettacolare spiaggia di sabbia fina davanti a due fronti del ghiacciaio Qaleraliq che terminano in mare. In passato, questi fronti glaciali ne costituivano uno unico, più grande, ma a causa degli effetti del cambiamento climatico e del progressivo ritiro, si è diviso in due fronti diversi. Attraverso una desertica valle sabbiosa, si prosegue a piedi fino al lago Kangerluatsiup, uno dei più grandi del sud della Groenlandia, fino a raggiungere la tundra e la cima senza nome di una montagna di 400 m con spettacolare vista della calotta polare, delle famose formazioni rocciose dalla forma spigolosa e frastagliata che emergono dal mare di ghiaccio chiamate “nunataks”, e dell’oceano Artico.Qui di tanto in tanto si avvistano i caribù, mammiferi ruminanti artiodattili della famiglia dei Cervidi (Rangifer caribou), di aspetto simile alla renna, ma di stazza più robusta e con corna più sottili, originari delle zone boscose dell’America settentrionale.
Di notte il silenzio viene rotto dai tonfi assordanti dei blocchi di ghiaccio che si staccano dalle pareti del ghiacciaio. Il giorno seguente si sbarca su un lato del fronte glaciale per risalire il ghiacciaio verso il plateau, percorrendo senza difficoltà zone di crepacci che creano un incredibile aspetto labirintico reso ancora più suggestivo dai colori del ghiaccio che va dal bianco all’azzurro al blu, per scoprire le peculiarità dell’Inlandis. Lo sguardo si perde all’interno dei sifoni del ghiacciaio, enormi canali di scolo dove sboccano i fiumi ghiacciati formando buchi che possono arrivare fino a 200 m di profondità. Con i ramponi ai piedi e l’attrezzatura personale (circa 8 kg, da trasportare individualmente) si fa rotta verso un nunatak interno, camminando su una delle superfici ghiacciate più antiche del pianeta, esplorando cumuli di rocce e pietre e numerosi crepacci.
Quasi un viaggio in una natura primordiale, una rottura con le esasperazioni del mondo reale, un momento per riflettere su se stessi. Ognuno trova la sua strada, a modo suo. Il rispetto è l’insegnamento di queste terre aspre e selvagge, dove la natura non si piega. A piedi si cammina verso l’interno del ghiacciaio continentale, attraversando aree coperte di neve e terreni diversi fino a raggiungere un nunatak nascosto, non visibile dalla costa, fino a raggiungere un luogo non predefinito dove allestire un campo tenda sul ghiacciaio. Dopo la notte sul ghiaccio, si prosegue a piedi verso la costa con splendide vedute sul fiordo e successivamente in gommone si naviga scortati dalle balene fino alla città di Narsaq, dove si esplorano il mercato eschimese, il porto, il mercato delle pelli, la chiesa, il museo e la distilleria della birra. Col gommone si giunge a Qassiarsuk, dove con un breve trekking si arriva alla fattoria di Tasiusaq, dove abitano sette persone in totale isolamento sulle sponde del fiordo di Sermilik solitamente bloccato dal ghiaccio proveniente dal ghiacciaio Eqaloruutsis. Qui si pescano i salmoni, importante risorsa ittica della zona.
In kayak si pagaia circa due ore nella “baia degli iceberg”, soli in una delle più scenografiche aree di tutta la Groenlandia. Nella strada del ritorno merita una sosta Qassiarsuk, anticamente chiamata Brattahlid, dove si stabilì Erik il Rosso quando iniziò la colonizzazione della Groenlandia nel 985.
Per informazioni:
I Viaggi di Maurizio Levi
www.viaggilevi.com