I Romani lo chiamavano Mare Nostrum. Ma ancor prima i Fenici avevano navigato per tutto il Mediterraneo, raggiungendo paesi con culture e colture diverse. Scambiando e commerciando. Partecipando alla formazione di un’identità comune europea e mediterranea. E’ questo un patrimonio unico e prezioso che l’Itinerario Culturale Internazionale “La Rotta dei Fenici” – riconosciuto dal Consiglio d’Europa dal 2003 – sta promuovendo da anni.
Sulle grandi direttrici nautiche percorse da Fenici, Greci e Romani, passando da 19 paesi e tre continenti, prendono forma molti itinerari turistici che esprimono e sintetizzano la mediazione tra cultura, economia, identità secondo una visione di turismo sostenibile. Dal Libano, attraverso le grandi isole del Mediterraneo, fino a Spagna e Marocco, i Fenici si spostavano verso Occidente tramandando conoscenze e cultura dell’olio, del vino, della lavorazione del vetro, della metallurgia. Persino l’alfabeto.
Si tratta quindi di un patrimonio anche intangibile, e di una rotta non solo geografica, ma anche mentale che vede il viaggiatore contemporaneo protagonista. “Non possiamo capire cosa succede oggi nel Mediterraneo se non diamo uno sguardo al passato” dice Antonio Barone, Direttore della Rotta dei Fenici. Si tratta di un turismo “lento” e responsabile, come il cammino di Santiago di Compostela, che è stato precursore e modello per questo tipo di itinerari.
In Italia “La Rotta dei Fenici” si articola in diversi percorsi che si snodano lungo tutta la penisola: sono gli itinerari fenicio-punici in Sicilia e in Sardegna, il cammino di Annibale e la rete degli Etruschi.
Mettendo la lente di ingrandimento sulla Sicilia, moltissime sono le località, note e meno note, annoverate tra i maggiori centri fenicio-punici e greci dell’isola: Marsala, Palermo, Solunto, Selinunte, Pantelleria, Erice, Favignana, le Egadi, Sambuca di Sicilia. Mozia – sull’isola di San Pantaleo nello Stagnone di Marsala – è un interessantissimo sito archeologico fenicio molto ben conservato, che testimonia la presenza di approdi, darsene, una cinta muraria, un porto naturale e un bacino di carenaggio artificiale, templi e aree di culto, impianti per la concia e la tintura delle pelli. I suoi numerosi reperti archeologici sono conservati nel vicino museo G. Whitaker e al Museo Nazionale di Palermo, mentre le saline, dove ancora oggi il sale viene lavorato a mano, sono ancora visibili.
Tracce fenicie si trovano anche a Segesta e il suo porto Emporium Segestanorum (l’attuale Castellammare del Golfo); a Pantelleria, posta sulle rotte tra Sicilia e Africa; a Lampedusa e alle Egadi, isole utilizzate come punti d’appoggio commerciali o difensivi. Ma anche le notissime Selinunte (Castelvetrano), il parco archeologico più vasto d’Europa, fondata dai Greci e poi diventata punica, ed Eraclea Minoa (Cattolica Eraclea), colonia selinuntina e poi conquistata da Agrigento.
Tra natura e archeologia, gastronomia e mare, si segnalano gli “archeotrekking” promossi dalla Rotta dei Fenici, (www.rottadeifenici.movimentolento.it): un esempio è il percorso della “Grande Farfalla” nell’isola di Favignana, 15 chilometri lungo la costa alla scoperta di mare e cave di tufo; oppure la Riserva Naturale del Fiume Belice, famosa per le sue dune alte vari metri, per la zona palustre e la macchia mediterranea incontaminata; il trekking urbano di Erice, lungo le mura ciclopiche elimo-puniche. Per gli amanti delle immersioni, sono in preparazione, inoltre, anche gli itinerari archeologici subacquei. – www.fenici.net
Francesca Acerboni