Villa Necchi Campiglio. Dimora iconica, modello nell’arte di abitare, set di film e location di lusso per eventi. E, ultimo, ma non per importanza, Bene FAI (Fondo Ambiente Italiano). Questa è Villa Necchi Campiglio, nascosta in un giardino segreto nel cosiddetto Quadrilatero del Silenzio dove il Liberty e il Déco si danno la mano. Luogo tra i più instagrammati della città, ad una manciata di minuti da Piazza San Babila e dal traffico di Corso Venezia.
E’ il capolavoro razionalista dell’architetto Piero Portaluppi. La progettò e ne seguì la realizzazione, tra il 1932 e il 1935. Era destinata ad una famiglia tra le più in vista della Milano-bene tra le due Guerre. La abitarono, infatti, le due sorelle Necchi, Nedda e Gigina, e il marito di quest’ultima, Angelo Campiglio. La famiglia Necchi era proprietaria di due aziende del pavese. Una grande fonderia di ghisa, la NECA, e la Necchi, famosa per la produzione di macchine per cucire.
Metti una sera di nebbia a Villa Necchi Campiglio
Pur se originari di Pavia, i coniugi Campiglio e Nedda amanti della vita sociale e culturale, appassionati di musica e di teatro si spostano di frequente verso Milano. Agli inizi degli anni Trenta decidono di trasferirsi nella città meneghina.
Si racconta che proprio uno di questi spostamenti dia l’occasione per il trasferimento definitivo all’ombra della Madonnina. Una sera di nebbione milanese, infatti, tornando a Pavia dopo aver assistito a uno spettacolo alla Scala, i tre si perdono in via Mozart. Proprio davanti ad un giardino dove campeggia il cartello “Vendesi”. La mattina seguente Angelo acquista la parte di giardino che affaccia sulla via e incarica Portaluppi di progettare la loro casa che dovrà essere un po’ villa di campagna in città. Dovrà soprattutto essere una abitazione elegante e impeccabile dove ricevere i numerosi amici di famiglia.
Portaluppi, archistar ante litteram di Villa Necchi Campiglio
Portaluppi insegna al Politecnico di Milano e in quegli anni è l’architetto più ricercato nella Milano che conta. Tutto ciò grazie alla sua vivace creatività, al suo eclettismo, alla sua passione per il moderno. Tra gli anni Venti e Trenta i suoi progetti sono un assemblaggio di rimandi e di citazioni. Elementi neoclassici, déco, futuristici e ispirati anche alla Secessione Viennese. Prevedono anche l’uso di materiali industriali, una fiducia granitica nelle nuove tecnologie e la rottura radicale con le forme canoniche del lusso altoborghese meneghino. Luso ancora legato a un immaginario sette-ottocentesco.
Dalla sua matita esce, così, una residenza dove il lusso non è mai sfacciato. Un insieme di spazi minimali segnati da forme insolite, quelli della casa. La divisione interna va a ricercare le simmetrie nella disposizione degli appartamenti privati e nella massima apertura alla luce naturale.
Discreta, elegante, impeccabile. Questa è Villa Necchi Campiglio
La Villa risulta così una successione di stanze e saloni pensati per una vita sociale brillante. Una scenografica veranda al piano terra, che dialoga con le magnolie centenarie, i tassi e i faggi dell’esterno. Gli appartamenti privati (delle due sorelle, degli ospiti, della guardarobiera) al piano nobile. Un giardino lussureggiante dove non mancano il campo da tennis e la piscina, la prima privata dell’epoca in città. E dove l’attenzione per il modernismo di Portaluppi si traduce nel comfort e nell’efficienza di ascensori, montavivande, citofoni interni, porte blindate scorrevoli e cavedi murati. All’interno del complesso, poi, l’architetto inserisce le sue griffe. Le losanghe geometriche (che diventano ornamento di soffitti, pavimenti, porte), i segni zodiacali, le finestre a forma di stella.
La Villa diventa un prezioso testimone architettonico, stilistico, di costume della Milano tra le due guerre. La rappresentazione di un’epoca e di uno stile di vita rimasto intatto nel tempo. Che merita le citazioni sulle riviste glam del tempo (Domus e Casabella, per esempio).
Tradizionale ma modernissima: Villa Necchi Campiglio
La distribuzione degli interni, con usi specializzati secondo i piani, è tradizionale per una villa di dimensioni importanti. Spazi di servizio nel basement, locali di ricevimento e di soggiorno al piano terreno, camere e appartamenti privati al piano superiore, stanze per la servitù nella mansarda.
“Una massiccia grata metallica – racconta la storica dell’arte FAI Lucia Borromeo Dina – garantisce la sicurezza dell’ingresso alla villa. Una volta azionata, scende verticalmente nel pavimento della scala esterna, fino a scomparire completamente. Varcata la soglia, si entra nella grande hall del piano terra, quasi interamente dedicato al ricevere.”
Da qui, infatti, si entra negli spazi destinati alla conversazione e al gioco, nella sala da pranzo e nei due office. Uno scalone monumentale porta, poi, a scoprire le stanze del piano superiore: gli appartamenti privati perfettamente simmetrici delle due sorelle divisi dalla Galleria degli Armadi, le stanze degli ospiti (oggi conosciute come Stanza del Principe e Stanza della Principessa), il quartierino della guardarobiera.
Arriva Buzzi e cambia il look della Villa Necchi Campiglio
La storia della villa è una storia di rivoluzione ma anche di restaurazione. Portaluppi è un propugnatore del modernismo e del razionalismo e progetta la Villa come un’opera d’arte totale, disegnandone anche i minimi dettagli, dalle maniglie delle porte ai mobili, dai lampadari fino ai servizi di piatti. Ma Tomaso Buzzi, altro grande architetto dell’epoca, è un sostenitore di quel gusto barocchetto che nelle dimore milanesi non era mai del tutto scomparso. E a partire dal 1938, pochi anni dopo il completamento dei lavori, i Necchi Campiglio si rivolgono a lui, al Buzzi, per rivedere e correggere gli interni della loro Villa. Le sperimentazioni di Portaluppi vengono sostituite con re-invenzioni classiche, mobili d’antiquariato, lampadari alla veneziana, arazzi fiamminghi, sete ricamate. Mix di stili e tendenze eterogenee, la Villa diventa, ancora una volta, la testimonianza della vivace borghesia lombarda pronta a cambiare tutto perché tutto rimanga com’è.
Dai Necchi Campiglio al FAI. Da casa a casa-museo
Dopo la scomparsa dell’ultima proprietaria, Gigina, la Villa diventa un Bene FAI, viene sottoposta ad un notevole lavoro di restauro e viene aperta al pubblico nel 2008, entrando così, insieme a Casa Boschi di Stefano, al Poldi Pezzoli e a Palazzo Bagatti Valsecchi, nel circuito delle Case Museo di Milano. Casa, certo, ma anche museo perché i Necchi Campiglio l’hanno arricchita con i memorabilia dei loro viaggi, con quadri e mobili preziosi ma anche museo perché negli anni sono arrivate come donazioni al FAI tre importanti collezioni, diventate parte del percorso di visita.
La prima è la raccolta della gallerista Claudia Gian Ferrari che racconta il periodo artistico tra le due guerre con lavori degli esponenti del Futurismo come Boccioni e Balla, ma anche con opere di Sironi e Funi, di De Chirico e Alberto Savinio, di Morandi e De Pisis.
Quadri e non solo
In Villa sono presenti, inoltre, i capolavori di alcuni importantissimi scultori che hanno caratterizzato l’arte di quel periodo e influenzato quella successiva, come Adolfo Wildt, Marino Marini e Arturo Martini, nelle cui opere si possono leggere i cambiamenti fra gli anni Venti e Trenta e le anticipazioni del dopoguerra. La seconda collezione di Villa Necchi è quella di Alighiero ed Emilietta de’ Micheli che occupa gli spazi della cosiddetta Stanza della Principessa, diventata così un salotto settecentesco molto veneziano con damaschi gialli alle pareti, opere di Canaletto, Guardi e Rosalba Carriera, porcellane, miniature, maioliche cinesi.
Terzo, ma solo in ordine di tempo, il lascito di Guido Sforni che oggi impreziosisce gli spazi della Stanza del Principe, una raccolta notevolissima di opere su carta (Picasso, Fontana, Sironi, Modigliani, Matisse) installata in modo suggestivo tra il bagno, la dressing room e la camera da letto.
Mostre ed esposizioni raffinate
Non è tutto, ovviamente. Periodicamente la Villa ospita anche mostre temporanee con l’esposizione di opere d’arte preziose e raramente visibili. Dal 5 dicembre fino al 7 gennaio 2024, per esempio, nella sala da pranzo della Villa sarà esposto un Centrotavola in porcellana ideato, negli anni ’20, da Giò Ponti e Tomaso Buzzi, realizzato dalla Manifattura di Doccia di Richard-Ginori e destinato all’arredamento delle sedi diplomatiche del Ministero degli Esteri.
L’elemento principale dell’eclettica composizione è la figura dell’Italia seduta su un’enorme conchiglia, impreziosita da drappeggi, perle, coralli e altri crostacei, e circondata da specchi che alludono alla superficie del mare. Tutto intorno si dispongono piccole e grandi sculture tratte dal repertorio antico raffiguranti piante e animali, come il Cavallo marino, il Putto che cavalca un delfino o il Cane che morde un serpente.
And the winner is…
“Un ambiente molto rigoroso neutro all’esterno e ricco all’interno, severo ma allo stesso tempo dorato e caldo.” Parola del regista Luca Guadagnino. Ed è per questo che la utilizza come location del suo Io sono l’amore, interpretato da Tilda Swinton, Marisa Berenson, da Alba Rohrwacher. Specchio dello stile di vita agiato dei proprietari, la casa è lo scenario ideale per raccontare le abitudini e i costumi dell’alta borghesia lombarda rappresentata nel film.
Ma anche Ridley Scott ha scelto la Villa per girare House of Gucci, che racconta la storia di Patrizia (nella finzione cinematografica è Lady Gaga) e Maurizio Gucci.
Ed è in Villa che è stata ricostruita la casa di Rodolfo Gucci (Jeremy Irons nel film), e nelle riprese si intravedono molti elementi iconici della dimora: la hall, la veranda, gli ascensori, il montavivande, i citofoni interni, le porte blindate scorrevoli, le collezioni d’arte e l’esterno, con giardino e piscina.
Enrico Saravalle